Saturday, April 20, 2024
HomeItalian NewsGli italiani sono un popolo ignorante? – Avanzato #28 – Podcast Italiano

Gli italiani sono un popolo ignorante? – Avanzato #28 – Podcast Italiano


Iscriviti al Podcast Italiano Club! Da oggi puoi fare un abbonamento annuale e risparmiare il 15% rispetto all’abbonamento mensile.

Scarica la trascrizione in formato PDF (con il lessico difficile)

Ciao a tutti e benvenuti su Podcast Italiano,  il podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti e autentici. Questo è l’episodio numero 28 di livello  avanzato. Come state? Spero che nonostante il periodo piuttosto strano stiate bene e che stiate continuato ad imparare l’italiano.

Potete trovare la trascrizione integrale di questo episodio sul mio sito. Il link è nelle note dell’episodio, che potete vedere nella vostra app di podcast. Ho deciso che d’ora in poi la trascrizione degli episodi sarà in formato PDF, che potete scaricare sempre dal sito. Questo perché trovo che sia  più facile per me creare PDF, rispetto a un post sul mio sito con tutta la trascrizione, le parole di lato. Non sono molto bravo a fare queste cose e spesso finisco per fare qualche casino con il layout. Insomma, credo che  il PDF sia più comodo per me da creare e forse anche più comodo per voi da utilizzare.

Prima di partire con l’episodio volevo dire due parole sullo sponsor… ovvero me stesso! O meglio, il Podcast Italiano Club. Il Podcast Italiano Club è un modo per sostenere questo progetto e ottenere dei contenuti esclusivi in cambio, come un podcast esclusivo, le trascrizioni dei video o della rubrica RST, Riflessioni senza trascrizioni, l’accesso a un gruppo Telegram in cui chiacchieriamo tutti insieme di lingua italiana e non [01:31] e altri bonus. Sono molto grato a tutte le persone che si sono iscritte e che continuano ad iscriversi al Club e voglio ringraziarle qui pubblicamente. Grazie, grazie davvero a tutti. A proposito, ora potete anche iscrivervi annualmente al club. Che significa? Pagate subito per un anno intero e risparmiate anche il 15% rispetto a pagare mensilmente. Quello che vi posso consigliare, personalmente, è di iscrivervi, magari per un mese , e poi eventualmente, [02:05] se siete soddisfatti, passate a un’iscrizione annuale. Quindi andate a dare un’occhiata al Club e ora passiamo all’argomento principale di oggi.

[Musica]

Il titolo di questo episodio come avrete visto è: gli italiani sono ignoranti?

Sapete bene che a me non piace sempre e solo esaltare l’Italia; esaltare, lodare, osannare [02:42] ciò che c’è di bello nel nostro paese, come il cibo, le città d’arte, la natura, ecc. Trovo interessante ogni tanto spendere qualche parola anche sugli aspetti meno positivi e più contraddittori, se vogliamo, del nostro paese e della nostra società, che nel racconto che noi italiani facciamo di noi stessi a mio avviso hanno un ruolo predominante. Cioè, noi italiani molto più spesso ci lamentiamo di ciò che non va, rispetto a esaltare ciò che va, almeno secondo me. A parte il cibo, del cibo parliamo sempre e comunque, in toni molto positivi.

Uno di questi aspetti un po’ negativi è il livello culturale degli italiani. Vi voglio però prima raccontare come mi è venuta in mente l’idea di affrontare questo argomento. Sapete, su Facebook esistono gruppi in cui si riuniscono i cittadini che abitano nello stesso comune [03:45], ovvero nella stessa città oppure cittadina. Essendomi io di recente trasferito – ho cambiato città, come sapete – mi sono iscritto al gruppo del nuovo comune in cui ora abito.  Bene, leggendo ogni tanto qualcuno dei post che vengono scritti dai membri del gruppo in questione, dai cittadini della mia città, mi sono reso conto di quanto le persone scrivano molto spesso in un italiano davvero scarso, davvero incerto e scorretto. Non che prima non lo sapessi, beninteso. Non che prima non fossi consapevole del fatto che  “l’italiano comune” — intendo “italiano” come cittadino, non lingua — l’italiano comune o, come spesso diciamo quando intendiamo lamentarci, “l’italiano medio” non è in grado solitamente di esprimersi bene, sia nel parlato che nello scritto. Lo sapevo già. Sarà però, forse, che tutti noi sui social viviamo in una sorta di “echo chamber”, come dicono in inglese, una bolla, un luogo in cui ritroviamo le stesse idee in cui crediamo noi o le stesse opinioni che abbiamo noi ripetute, ribadite, scritte, condivise da persone che per tanti aspetti sono simili a noi e quindi siamo meno esposti a chi invece è diverso da noi, come stile di vita, interessi, idee (anche politiche), ecc. Per questo motivo tra i miei amici di Facebook (o nella vita reale, poi) ci sono persone simili a me, con degli studi simili ai miei e un livello culturale più o meno paragonabile.  Poche di loro hanno serie difficoltà ad esprimersi e in generale hanno opinioni che riterrei inaccettabili. Sui social interagiamo con i nostri simili, quindi forse questo può essere un motivo per cui a volte capita che non io non mi renda conto di quanto sia in realtà basso il livello culturale ma anche linguistico di tanti miei connazionali. [05:47]

Sì, gli italiani scrivono mediamente molto male.  Se dovessi fare una stima direi che il  60-70% dei messaggi nel gruppo Facebook del mio comune, della mia cittadina è scritto in un italiano mediocre. Errori di ortografia, punteggiatura a caso, gente che scrive tutto in maiuscolo [06:09] COME SE STESSE URLANDO, errori grammaticali e in generale poca chiarezza in ciò che viene comunicato. Ora, io non mi ritengo un grammar nazi, lo sapete. Non mi piace fare ilmaestrino”, fare la persona che gode nel correggere gli altri, menchemeno gli sconosciuti. Però per coincidenza mi è capitato di recente di leggere un libro scritto da una linguista italiana che menzionava il concetto di “linguistic whateverism”, che potremmo tradurre con “qualunquismo linguistico”, oppure “pressapochismo linguistico”. La parola “pressappoco” [06:47], se non lo sapete, è un sinonimo di “più o meno”, “all’incirca”. Vale a dire, “chissenefrega, chisseneimporta della forma, DI come scriviamo, di come comunichiamo, l’importante è comunicare più o meno, pressappoco ciò che vogliamo dire; l’importante, insomma, è che si capisca”. Ecco, in Italia è piuttosto diffuso questo pressapochismo linguistico. Il problema, tuttavia, non riguarda solo la forma esteriore, ma anche la chiarezza e lucidità con la quale le persone comunicano le proprie idee, che secondo me è un problema più grave del fare qualche errore di ortografia qua e là. Mi piace molto questa frase detta dal filosofo statunitense John Searle, riportata nel libro di cui vi parlavo un attimo fa: “Non puoi pensare chiaramente se non sai parlare e scrivere chiaramente”. Io penso che sia davvero così: chi scrive male o si esprime male nella propria lingua tende anche ad avere le idee un po’ confuse.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che il qualunquismo (o pressappochismo) linguistico non è un fenomeno esclusivamente italiano. E non è nemmeno un fenomeno nuovo;  non è che in passato fossero tutti dei fini scrittori ed intellettuali: semplicemente i social hanno dato la parola a tutti, sono un megafono per tutti. In passato scriveva chi per lavoro doveva scrivere, mentre oggi sui social scriviamo tutti, continuamente. Siamo tutti autori. Siamo tutti continuamente autori di testi scritti. Come disse una volta il celebre scrittore, filosofo, traduttore (tantissime altre cose) Umberto Eco i social «hanno dato il diritto di parola a legioni di imbecilli». Questa è una frase che disse nel 2015 mentre gli veniva conferita la laurea honoris causa: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività [08:54]. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Ecco, forse si tratta di una frase un po’ poco diplomatica, un po’ controversa e un po’ infelice. Però è vero che i social hanno dato diritto di parola a tutti, quindi inevitabilmente anche a persone poco competenti su tanti argomenti e spesso anche poco competenti linguisticamente.

Ma facciamo un passo indietro. Come ho detto prima, che gli italiani siano ignoranti è un luogo comune, qualcosa che sentiam o spesso dire. A volte si parla anche di declino culturale italiano, spesso additando [09:33] i giovani come colpevoli di questo declino culturale e anche linguistico.   Mi sono quindi domandato: “ma è vero che siamo un popolo ignorante? E se fosse davvero in corso un declino culturale? E se fosse così, sono forse i giovani i responsabili”?
Sono andato quindi a dare un’occhiata alle statistiche, ai dati, ai freddi numeri e il quadro che è emerso non è molto positivo; anzi, è abbastanza sconfortante [10:05], per spoilerarvi quello che vi racconterò tra poco. Dobbiamo però prima di tutto decidere di che stiamo parlando quando impieghiamo il termine “ignoranti”; io ho deciso di focalizzarmi su alcuni aspetti: sulla scolarizzazione (o istruzione), sulla percezione della realtà, sull’alfabetizzazione, sulla lettura e sulle pratiche culturali. Partiamo dalla scolarizzazione.

Scolarizzazione

Nel 2019 in Italia, solamente il 19% delle persone tra i 25 e i 64 anni aveva un’istruzione universitaria, la metà della media OCSE, che è del 37%. Ripeto: solo il 19% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ra laureato. L’OCSE, a proposito, è un’organizzazione internazionale di cui fanno parte vari paesi europei, nordamericani e anche di altre regioni del mondo e sta per Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico – OCSE). La media OCSE, dicevo è ben più alta, del 37%. Quindi 19 e 37, vedete, c’è un bello scarto, un bel divario. [11:25]

I lavoratori italiani poi sono tra i peggiori per livello di istruzione anche all’interno dell’Unione Europa. Nel terzo trimestre del 2019 (i trimestri sono periodi di tre mesi), nel terzo trimestre 2019 solo il 23,4% degli occupati, dei lavoratori dichiarava di avere la laurea (e questo è il dato peggiore dopo la Romania). Per fare qualche paragone, la media UE (cioè dell’Unione Europea) è del 36,8%, il Regno Unito 47,2%, Francia 43,3% e Germania 30,6%.
Ma ediamo un altro dato — e scusatemi se vi bombarderò di dati, ma penso che siano effettivamente importanti per comprendere la situazione: il 30,1% dei lavoratori italiani ha solamente la terza media. “Avere la terza media”  [12:25] significa aver studiato fino al terzo anno di scuole medie, quindi aver studiato 8 anni: cinque anni di scuole elementari e 3 anni di scuole medie. Ecco, in Italia il 30,1% dei lavoratori ha solo la terza media, molto di più rispetto all’Europa con il suo, 16,3%. E se invece consideriamo solamente i giovani, quanti sono i laureati? Perché magari potremmo pensare che le generazioni più anziane abbiano studiato di meno ma che magari i giovani siano più preparati e in linea con le medie europee. Sicuramente va un po’ meglio, ma non siamo di certo di fronte a dati molto confortanti. L’italia è penultima in Europa per numero di laureati anche tra i giovani. Se consideriamo i giovani italiani tra i 30 e i 34 anni solo il 27,6% ha completato gli studi universitari ; in Europa questo dato è del 40,3%. Va anche detto che abbiamo fatto dei passi in avanti, se pensiamo che nel 2002 questo dato era del 13,1%, quindi in poco meno di 20 anni abbiamo raddoppiato il numero di laureati. Rimaniamo però molto indietro rispetto alla media europea e rispetto ai dati di altri paesi, soprattutto dei paesi nordici dove si arriva anche al 50% di giovani laureati tra i 30 e i 34 anni.

Poi ci sono altri dati preoccupanti, quelli che riguardano per esempio l’abbandono scolastico, o anche chiamato “dispersione scolastica”. Secondo i dati Eurostat 2019  il  13,5% dei ragazzi abbandona la scuola (e questo è il quarto dato peggiore in Europa).

C’è poi il fenomeno preoccupante dei NEET, acronimo che sta per “not in education, employment or training”, cioè chi né studia, né si forma, né lavora. Il dato è drammatico: nel 2019 nella fascia tra i 15 e i 29 anni il 22,2% è NEET, la quota più elevata in Europa e di 10 punti percentuali superiore alla media europea del 12,5%. È un dato drammatico perché una persona che non lavora, non si forma e non studia rischia di, cito il professore Alessandro Rosina, “sprofondare [14:57] in una spirale di deterioramento di competenze e demotivazione”. Il problema dei Neet è anche accentuato [15:05] dal modello culturale italiano, per cui i giovani, come forse sapete, tendono a vivere con i genitori per anni e anni e spesso dipendono da loro. Questo modello culturale rende quindi più accettabile la lunga permanenza dei giovani nella casa dei genitori. È chiaro che se un ragazzo o una ragazza sentisse l’urgenza di dover trovare un lavoro si impegnerebbe forse un po’ di più, si “darebbe da fare”, [15:30] come diciamo noi. Abbiamo parlato quindi di scolarizzazione e abbiamo visto che la situazione non è delle migliori, anzi.

Percezione della realtà

Ora voglio concentrarmi su un altro aspetto che può essere, se vogliamo, considerato un elemento di “ignoranza”, intesa come non conoscenza delle cose del mondo e errata percezione della realtà. L’agenzia di ricerca IPSOS Mori ogni anno pubblica uno studio, basato su alcune  interviste che hanno come scopo quello di analizzare quanto sia corretta o distorta la percezione della realtà da parte di persone provenienti da vari paesi del mondo rispetto ad alcuni dati statistici relativi al loro paese: per esempio in materia di consumo di droghe, criminalità, salute, attentati terroristici, religione ecc. In base ai risultati dello studio “Perils of perception” (pericoli della percezione) condotto da IPSOS Mori nel 2017 a quanto pare in Italia purtroppo siamo piuttosto dissociati dalla realtà, cioè abbiamo una percezione molto distorta di come stanno le cose. E anche qui, purtroppo, siamo i peggiori tra tutti i paesi europei analizzati. Per farvi qualche esempio, gli italiani in media credono che il 48% dei reclusi nelle carceri [16:45] italiane sia straniero, ma in realtà è il dato è del 34%, più basso. Il 49% degli italiani crede che gli omicidi siano aumentati dall’anno 2000 e il 35% che siano rimasti uguali, quando in realtà sono  diminuiti e anche di molto. In media gli italiani intervistati pensano che il 70% della popolazione direbbe, se interrogato, di credere in Dio, quando in realtà il numero è più alto in questo caso, 91%. Questi dati mostrano che noi stessi non conosciamo bene il nostro paese e abbiamo una percezione piuttosto errata per quanto riguarda molti aspetti socioculturali. Nelle edizioni del 2018 e del 2020 i risultati dell’Italia erano leggermente migliori, ma si trattava di argomenti più ristretti rispetto allo studio del 2017, che era più ampio, come argomenti. Trovo comunque degli studi affascinanti per capire quanto si sbaglino persone di vari paesi su determinati argomenti, su quanto la loro percezione sia lontana dalla realtà delle cose. Se vi interessa andate a cercare su Google IPSOS Mori e scoprirete magari come si sono comportati i vostri connazionali, sempre che il vostro paese abbia partecipato allo studio.

Analfabetismo funzionale

Proseguiamo con un altro tema dolente [18:08], ovvero che fa male, che provoca dolore. Un tema dolente, ovvero l’analfabetismo funzionale, un termine di cui negli ultimi anni si è abusato [18:17], direi. Gli italiani, ripetiamo noi stessi in maniera auto-derisoria, sono analfabeti funzionali: sembra un modo colto e raffinato di dare agli italiani dei caproni, di dare agli italiani degli ignoranti [18:30]. “Dare a una persona di qualcosa” significa “insultare una persona dicendo che è questa cosa”. “Dare agli italiani degli ignoranti”.

A riprova di ciò c’è addirittura una pagina Facebook che si chiama “adotta anche tu un analfabeta funzionale”, che prende  in giro i commenti idioti e spesso anche malscritti che si possono leggere su Facebook. Ma a parte le prese in giro, che cos’è esattamente il fenomeno dell’analfabetismo funzionale?

Partiamo dalla parola “analfabeta”. [19:10] “Analfabeta” è una persona che non sa né leggere, né scrivere. Tutti nasciamo analfabeti e poi, si spera, andando a scuola ci alfabetizziamo. Ecco, fortunatemente di veri analfabeti, persone che non sanno né leggere, né scrivere — anche chiamati “analfabeti strumentali” — ce ne sono pochi, anche se comunque ce ne sono; nel 2011 in Italia c’erano ancora circa 600.000 analfabeti strumentali. Sì, pochi, meno dell’1% della popolazione, ma non zero.

C’è poi il problema dell’analfabetismo di ritorno, ovvero le persone che hanno sì imparato a leggere e scrivere e fare di conto (ovvero hanno competenze matematiche), ma che poi però, per il loro stile di vita, per la mancata stimolazione intellettuale regrediscono verso livelli molto bassi di alfabetizzazione. Il problema dell’analfabetismo di ritorno alimenta il fenomeno dell’analfabetismo funzionale.

Che cosa sarebbe? Ho trovato questa definizione: “Con analfabetismo funzionale si intende, genericamente, l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana”.  Secondo l’OCSE (la stessa organizzazione internazionale di cui abbiamo parlato poco fa) un analfabeta funzionale non è capace di “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. In altre parole, un alfabeta funzionale non capisce un testo complicato, come per esempio un articolo di un quotidiano, non è in grado di riassumere un testo scritto, non è in grado di comprendere i termini di un contratto o di interpretare un grafico. Non è capace quindi di elaborare le informazioni contenute in testi un po’ complicati e di utilizzarne le informazioni. Di conseguenza queste persone hanno grandi difficoltà a comprendere e vivere nella società sempre più complessa di oggi.

L’OCSE ha un programma chiamato PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies, o anche “Programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti”). L’indagine individua sei livelli di “proficiency”, potremmo chiamarla “competenza”. Livello 0, 1, 2, 3, 4 e 5. Il livello 0 e 1 sono l’area dell’analfabetismo funzionale. Quindi chi ottiene un punteggio inferiore al livello 2 è considerabile funzionalmente analfabeta. Il livello 3 è invece considerato il minimo indispensabile [22:12] per vivere e inserirsi nella società di oggi.
Anche qui i risultati sono impietosi [22:14] e drammatici: l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi europei nelle competenze alfabetiche (o di “literacy”, come sono chiamate nello studio) e penultima nelle competenze matematiche (cioè “numeracy”). Partiamo male, ma continuiamo.
Abbiamo parlato dei livelli, no? Bene, al livello 0 ci sono il 6% delle persone e al livello 1 il 22%. Significa quindi che il 28% degli italiani è ai livelli 0 e 1 e quindi analfabeti funzionali, che è grave, perché 28% è un numero elevatissimo. Poi abbiamo il 42% della popolazione al livello 2 e solamente il 30% si trova nei livelli superiori al 2. Vi ricordo che il livello 3 rappresenta il minimo indispensabile, secondo l’OCSE, per poter vivere nel mondo di oggi. Significa quindi che il 70% degli italiani non possiede queste competenze fondamentali. Con il suo punteggio di 250 (il massimo è 500) l’Italia è piuttosto lontana dalla media Ocse di 273.

È anche importante sottolineare che ci sono delle differenze territoriali importanti. L’indagine mostra che il Sud e le Isole (Sicilia e Sardegna) sono le aree con il maggior numero di persone con livelli bassi di proficiency, mentre il Centro ha i risultati migliori, seguito dal Nord Ovest e dal Nord Est.
C’è inoltre un forte divario tra giovani e anziani: la fascia che va dai 55 ai 65 anni è quella con i dati peggiori; al Sud in questa fascia d’età il 53 % degli indidui è analfabeta funzionale (il dato peggiore in Italia), al Nord Est il 29% (il dato migliore).
Ci tengo anche a sottolineare che il problema non è solo italiano, però in Italia la situazione è particolarmente grave.

Lo studio è interessante perché mostra quali sono le conseguenze di tutto ciò sulla partecipazione sociale. Per esempio, la percentuale di italiani che svolge attività di volontariato è del 22% tra i 16-65enni (ma è 35% nella media OCSE). Oppure il senso di fiducia negli altri: l’Italia è uno dei paesi più diffidenti, cioè che diffida, [24:30] non si fida degli altri. Il 77% delle persone intervistate sempre tra 16 e 65 anni dice di essere d’accordo con l’affermazione “sono poche le persone di cui ti puoi fidare completamente”. 77%, pensate. Anche questo è un problema, perché secondo un altro studio (questo italiano) la società funziona meglio, è più produttiva quando la fiducia reciproca è elevata. L’82% è inoltre d’accordo con la frase “se non stai attento, gli altri se ne approfittano”. Abbiamo poca fiducia nel prossimo.

Inoltre gli italiani partecipano molto poco alla vita politica del proprio paese. In sostanza, bassi livelli di istruzione e di competenza sono correlati con la bassa probabilità di riportare dei risultati positivi in questi aspetti della partecipazione sociale.

Il celebre linguista Tullio De Mauro, che si occupava molto di analfabetismo funzionale, diceva che più della metà degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora) possedendo una capacità di analisi elementare, interpretando il mondo solo in base alle proprie esperienze dirette. Per esempio, la crisi economica è un problema perché io ho meno soldi, il taglio delle tasse è giusto perché io pago meno tasse (anche se poi ricevo meno servizi pubblici), ignorando quindi le conseguenze collettive e a lungo termine, pensando solo ai propri immediati vantaggi personali. Pensando al proprio orticello, come diciamo noi italiani, al nostro tornaconto personale. [26:15] E l’analfabetismo funzionale è un problema anche a livello politico, perché significa non possedere gli anticorpi contro i politici che mentono, che mistificano la realtà, che non raccontano la verità. Come può un cittadino analizzare criticamente le parole e le azioni dei politici se possiede competenze di alfabetizzazone (e anche di percezione della realtà, come abbiamo visto) così scarse? Questo è un grande problema.

Lettura

 Uno degli aspetti più sconfortanti che emerge dei questionari PIAAC riguarda la lettura. Sì, perché è emerso che il 40,6% degli italiani legge almeno un libro all’anno, che non è tanto buono. Cioè,  significa che il 60% circa non legge nemmeno un libro all’anno. In generale i ragazzi sembrano più appassionati alla lettura e le donne leggono molto più degli uomini (47% rispetto al 34%). Sono molto pochi lettori forti, cioè persone che leggono almeno un libro al mese: sono solo il 13,4%. Quindi anche in questo caso i risultati sono piuttosto disastrosi. Gli italiani leggono pochissimo e non c’è da sorprendersi se poi possediamo competenze di alfabetizzazione così scarse e scriviamo così male,  come dicevo all’inizio dell’episodio. Io penso che la lettura sia davvero un elemento importante nella crescita culturale di un popolo e di un individuo. Non è sicuramente l’unico modo di accedere alla cultura: conosco persone che leggono poco ma non sono di certo ignoranti (e io stesso non leggo poi così tanto). Sicuramente però leggere in generale, anche articoli di giornale è importantissimo per migliorare le proprie conoscenze linguistiche e culturali. Ne ho parlato in passato per quanto riguarda soprattutto le lingue straniere, perché parlo a voi, persone che imparano una lingua straniera. Ma che la lettura sia importante e utile è vero    in primo luogo nella propria madrelingua. E il fatto che il 60% degli italiani non legga nemmeno un libro all’anno… non è una buona notizia.

Pratiche culturali

Infine voglio ancora parlare di un altro studio,  molto brevemente, che risale al 2013, sulle pratiche culturali degli italiani. Si tratta di uno studio dell’Unione Europea, condotto tramite un sondaggio Eurobarometro (si chiama così). Anche da questo sondaggio non emerge nulla di buono, perché oltre a leggere poco (di cui abbiamo parlato) noi italiani (almeno nel 2013, ma non ho motivo di credere che la situazione sia migliore oggi) frequentiamo meno del resto dell’Europa concerti, musei, teatri, gallerie d’arte, ecc. Inoltre siamo meno coinvolti attivamente in attività artistiche individuali o di gruppo come la danza, la fotografia, la musica, la scrittura, la recitazione, In sostanza, non ci interessano nemmeno le attività culturali, che è un po’ triste, considerando il fatto che, come tutti sapete benissimo, il patrimonio culturale [29:25] dell’Italia è davvero enorme. Evidentemente ciò non basta affinché gli italiani stessi siano interessati a questi patrimonio culturale.

Conclusioni

Tiriamo le somme di tutto quello che abbiamo detto e torniamo alle domande che ci eravamo posti all’inizio dell’episodio. Gli italiani sono un popolo ignorante? C’è un declino culturale in corso? I giovani sono la causa di ogni male? Allora, in generale mi sembra evidente poco acculturato, alla luce di tutto quello che abbiamo detto. Abbiamo parlato degli scarsi livelli di scolarizzazione del nostro paese, abbiamo visto quanto sia distorta la percezione della realtà degli italiani, abbiamo esaminato il drammatico problema dell’analfabetismo funzionale e in generale della scarsa alfabetizzazione (e anche delle scarse capacità matematiche) che contraddistinguono [30:22] enormi fette di popolazione. Abbiamo anche visto che leggiamo poco e non partecipiamo ad attività culturali.
Detto questo, non credo che ci sia un declino culturale rispetto a una presunta [30:35] età dell’oro in cui eravamo tutti più acculturati e non direi che i giovani siano la causa del problema. La verità è che non siamo mai stati acculturati come popolo. Anzi, in media gli italiani più anziani sono meno alfabetizzati, meno scolarizzati e leggono meno dei giovani, con buona pace [30:53] di chi vede nei giovani il problema della società. Qualche passo in avanto è stato fatto (soprattutto per quanto riguarda il numero di laureati) ma non è sufficiente, e lo vediamo se ci paragoniamo con gli altri paesi europei e con i paesi più sviluppati del mondo. In Italia ci sono ancora troppi pochi laureati, troppi lavoratori scarsamente qualificati e tante persone con lacune nelle competenze fondamentali per vivere nella società di oggi.
Quindi forse non dovrebbero sorprendermi tutti i messaggi scritti male da parte dei miei concittadini  sul gruppo Facebook di cui vi parlavo prima, sono la naturale conseguenza di un popolo che non possiede solide basi culturale e anche linguistiche.

Voglio farvi ascoltare una clip in cui il linguista Tullio de Mauro commenta la situazione culturale italiana e in particolare l’analfabetismo funzionale.

Tullio de Mauro:

 La lingua italiana — per chi la sa usare leggendo, scrivendo, parlando — sta bene. Stanno male gli italiani che la sanno usare poco. Stanno male non per ragioni puristiche o astratte, ma perché conoscere male la lingua nazionale significa studiare male — se uno ci prova — altre lingue e avere una vita di relazione modesta, non capire tante cose che servono sul lavoro, nella produzione. Quindi la cattiva conoscenza dell’italiano e soprattutto dell’italiano scritto, dell… il cattivo rapporto con la lettura è un pesante limite di cui poco si parla, di tutta la nostra vita sociale, che ci trasciniamo indietro da molti anni e che diventa sempre più grave, perché man mano che  in qualche modo la società, le tecnologie si sviluppano si alza sempre di più, terribilmente la richiesta di competenze. E non possiamo più permetterci il lusso dell’ignoranza che ci siamo permessi per molto tempo.

“Non possiamo più permetterci il lusso dell’ignoranza che ci siamo concessi per lungo tempo”. In sostanza, dice De Mauro, siamo sempre stati tendenzialmente ignoranti ed è un problema che andrebbe affrontato con urgenza, specie considerando il fatto che il mondo di oggi è  sempre più complesso. I nuovi lavori richiedono lavoratori iper-specializzati,  che di certo non possono permettersi il lusso dell’ignoranza, il lusso (tra virgolette) di non poter comprendere un testo un minimo complicato.
Da un lato l’Italia rimane una delle più grandi potenze economiche mondiali, ma dall’altro lato io non vedo come possa mantenere  questa posizione e rimanere al passo di paesi molto forti in settori tecnologici o che investono fortemente nella ricerca. Consideriamo anche che i giovani italiani più preparati spesso sono i primi ad emigrare dal nostro paese, per trasferirsi dove saranno pagati meglio e dove avranno maggiori soddisfazioni professionali.  Non mi addentrerò in questo argomento, che è un altro grande problema italiano, ovvero quello della “fuga di cervelli”, come viene chiamata. Ma è un grande motivo di preoccupazione per il futuro del nostro paese.

Quindi che si può fare?
Beh, non sono un politico ma suppongo che non farebbe male investire nella cultura in senso lato, cioè, in generale. Nell’istruzione, in programmi culturali che per esempio promuovano la lettura, ecc. Onestamente però non sono molto ottimista: in un paese in cui la politica non ha mai una prospettiva a lungo termine, non si preoccupa mai dei giovani, in un paese in cui spesso la cultura è spesso vista come un settore in cui si possono fare soldi per racimolare soldi da spendere da qualche altra parte, in un paese in cui si investe poco nella scuola e nella ricerca, ecc. ecc. è difficile che questa situazione possa cambiare nei prossimi anni.  

Su queste note piuttosto pessimistiche vi comunico che non ho una soluzione e che siamo arrivati alla fine di questo episodio. 
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui. Vi ricordo che potete sostenere questo progetto entrando a far parte del Podcast Italiano Club e ricevendo così tutta una serie di bonus interessanti. Un altro modo in cui potete darmi una mano sono le donazioni. Questa volta ringrazio Paul, Karen, Jose, William, Vicky, Marisa, Miroslav, Gary, che hanno fatto delle donazioni da quando ho pubblicato l’ultimo episodio. Grazie davvero di cuore a tutti voi e per concludere l’episodio ci sentiamo la testimonianza di uno di voi, ovvero di Przemek dalla Polonia. Sentiamo il suo messaggio:
[AUDIO]

Grazie per le tue bellissime parole, Pzemek, non so se me le merito, ma grazie comunque. Mi è piaciuto quando hai detto “non so se sei sempre preparato, ma almeno lo sembri”. Ecco, quello è l’importante. Non essere, ma apparire. No, a parte gli scherzi, cerco di fare del mio meglio e sicuramente sono migliorato negli ultimi tempi a livello di rigore nella preparazione dei video e degli episodi e spero che l’abbiate notato e che lo apprezziate, diciamo.  Grazie anche per essere diventato membro del Club, spero che ti possa aiutare a migliorare ulteriormente il tuo già ottimo italiano. Detto questo, grazie a tutti e a tutte per l’ascolto e ci sentiamo nel prossimo episodio.
Statemi bene, ciao!

 

 

 



Source link

RELATED ARTICLES

Most Popular

Recent Comments